“BORN TO RISE HELL“
FestivalBara – Alessandria, Uappa – 15 /01/2005
Report by 20maValeriaVictrix
Rumore, più che giusto.
E’ tutta questione di sound.
Hertz e Megahertz.
Noi spacchiamo il cranio alla gente a forza di watt.
Elettricità, giustissimo.
E’ una forza della natura.
Noi elaboriamo una forza della natura.
La corrente elettrica è dappertutto.
Noi la incanaliamo in cavi, microfoni, amplificatori e così via.
Solo natura, e niente più.
Certe volte la riduciamo a parole.
Perché si perdono in mezzo al rumore, il che è naturale.
( Don DeLillo, Great Jones Street, 1973)
Un ex-saponificio a Cantalupo, meandro alessandrino, immerso nella nebbia e sfregiato dal gelo. Nella piccola sala salgono i vapori degli aliti, mani che stringono mani, piccole braci di sigarette furtive nell’oscurità.
E’ un palcoscenico volutamente dimenticato da Dio e sta per aprirsi il sipario sul festival più fumoso, ironico, cinico, glaciale, dissacrante, disturbante, conturbante e ‘orsino’ di questo 2005 appena nato. Signori, se il buongiorno si vede dal mattino, preparatevi a un anno pieno di dolore: state per essere brutalmente percossi.
Nel ristretto panorama industriale di questa parte dell’Alpe, si sono dati appuntamento alcuni degli astri emergenti italiani dediti alla nobile arte del rumore: in ordine di apparizione PK9, Mariae Nascenti, CorpoParassita, Northgate e Wertham, sostenuti, coadiuvati e presentati da SaraBara, conturbante, maliziosa e aggraziata creatura svestita ed infreddolita, perfettamente calata nel suo ruolo di speaker in linea con trend della serata.
Ad aprire i cancelli della fossa dei leoni i giovani milanesi PeschieraKalibro9. Assolutamente aggressivi, nascosti dietro a cupi passamontagna come kamikaze pronti al sacrificio, dall’impatto molto “grey wolves-iano“, l’esibizionedei PK9 è una specie di assalto contro la cultura dominante fatta di omogeneizzazione e muta accettazione. A rafforzare la tesi dello stereotiparsi del mondo circostante, la performance di Ilario (già bassista di Northgate) che, avvolto nel cellophane come una mummia contemporanea senza identità, compie i gesti quotidiani di ogni uomo moderno, che giorno dopo giorno si alza, si rade, lavora e, soprattutto, si aliena, senza rendersene conto, al punto tale da non sapere più nemmeno accorgersi delle bellezze che lo circondano (strappa i fiori dai loro steli regalandone solo dei gambi senza profumo), fino alla completa dissolvenza della sua volontà che diventa pazzia e distruzione. Martellandoci con distorsioni e urla , i PK9 tentano di cacciare nella testa delle persone delle idee e delle sensazioni personali. A forza di martellate prima o poi qualcuno capirà. E tentare non nuoce.
L’aria già glaciale si raffredda ulteriormente quando le atmosfere rituali e cristalline di MARIAE NASCENTI prendono il posto delle aggressioni power-electronics dei Pk9 . L’impianto acustico perfetto permette di apprezzare appieno le rarefatte e gelide dissonanze di Ango, che genera dal suo software nere atmosfere, intarsiate di una moltitudine di suoni distorti provenienti dalle sorgenti più diverse, mentre l’attenzione del pubblico è completamente rapita dal video-shock “Scandalosi vecchi tempi” in cui maliziose suorine si dilettano con bianchi cagnetti e inducono al lesbico peccato scolarette dall’aria niente affatto innocente. Nulla, ma proprio nulla, è lasciato all’immaginazione, mentre sulla parete le immagini lente indugiano su cunnilingus canine e fellatio dissacranti. Emozionante l’apparizione di Fabrizio M. Palumbo (Larsen) per la cover de “La ballata degli impiccati” di De Andrè, il momento più lirico e intenso dell’esibizione, coadiuvati dalla performance di Tora+, un’artista italo-belga che vive e lavora a Bruxelles, già protagonista di alcune esibizioni live di M.N.
I cambi di palco rapidissimi lasciano poco respiro tra una performance e l’altra ad una sala gremita e dall’aria satura di fumo, in barba aquesto primo week-end che prevede l’abbattersi della mannaia di Sirchia sulle dita di incalliti tabagisti.
Praticamente senza dare nell’occhio ecco che ritroviamo curvi sui loro mixer idue CORPOPARASSITA: ungelido dark-ambient ci invade e circonda, dove per “dark” si intende semplicemente una parte oscura che non ha valenza in sé ma ne acquisisce una solo in base al valore che ogni singolo spettatore decide di darle. Stimoli diversi da energie diverse, senza veri messaggi, senza vere mete se non generare suoni che ti si attaccano addosso, mentre sulla parete scorrono le immagini di alcune produzioni giovanili di Clive Barker. I CorpoParassita si agitano nell’ombra controculturale fin dal 2001, organizzando eventi e concerti prima e costituendosi poi come combo “musicale” nel 2002. Con all’attivo due demo edue cd-r autoprodotti, due uscite in copie ultra limitate per la Assassin Monk americana e una successiva limited edition per la Tosom Rec tedesca, in pochissimi anni hanno dato vita a una vasta gamma di suoni parassiti generati da stimoli di varia natura, cinematografica, letteraria, politica, culturale.
Come ogni buon Festival che si rispetti, accanto a un presentatore d’eccezione (in questo caso presentatrice) ci vuole anche un gruppo che suoni “veramente”. Serviti su un piatto d’argento da SaraBara si presentano sul palco i NORTHGATE in formazione super-classica: voce, chitarra, basso, batteria e tastiere. Per quest’ultime un guest di tutto rispetto: Claudio Dondo, già Runes Order, al quale auguriamo lunga vita coi Northagate perché la sua presenza si sente, eccome, e fa la differenza.
Come già per il Congresso Post Industriale di Pordenone, in divisa da Alpino, berretto con la penna nera e scaldato da un abbondante pellicciotto, Trevor fa il suo ingresso quando il gruppo è già disposto sul palco e si appresta ad umiliare le bands di prima, dopo e pure durante, con il suo sound pieno di energia. Niente video ma, sinceramente, bastano loro a riempire l’atmosfera. E’ una festa. Tra i pezzi “Titan Arch” dei Coil e lo strepitoso finale con “Running up the hill” di Kate Bush. Concerto spettacolare, assolutamente trascinante, ben sorretto da tutti i componenti, non da ultimo la presenza dell’ex Monumentum Daniele che con la chitarra ci sa davvero fare, da bravo professionista, la voce di Davide/Trevor, già vocal della Camerata Mediolanense e ideatore/creatore del progetto rock-industrial Northgate,e sottolineando nuovamente l’indispensabile supporto di Dondo/Runes Order creatore del tappeto di tastiere e smodato ballerino dietro le medesime.
Che la nebbia abbia creato non pochi disagi è fuor di dubbio, dato che il ritardo accumulato durante il viaggio Como-Cantalupo non ha permesso all’ultimo ospitedi espletare l’indispensabile sound-check. Poco male, il tempo è recuperato nei pochi minuti necessari alla preparazione del palco, una manopolina girata di qua, un effetto posizionato di là, il minidisk al posto giusto,più che altro è una questione di volumi… Ed infatti è esattamente quello che ci investe quando Marco W e Trevor danno il via alla performance di WERTHAM: un muro di suono invalicabile, freddo, compatto, impossibile da abbattere. Trevor si presenta sul palco per primo, torso nudo e harness, nella migliore tradizione leather (poi, come in uno strip al contrario, indosserà il tirapugni nella catena l’emblema dei Wertham), raggiunto subito dopo da Marco, il cipiglio cattivo nascosto dietro una maschera di pelle . Ed è subito dolore, “Brand new toy”, “Born to rise hell”, “Pigsty” (sulla base di un pezzo fatto in collaborazione con Grey Wolves) e “Retaliaton”, un concerto breve, ma lungo al punto giusto per far sì che chi è rimasto in sala vi resti incatenato, mentre Wertham interagisce col pubblico scendendo dal palco e sperdendosi in una coltre di fumo, e non si capisce più nulla, da dove venga la voce, il rumore, se sarai assalito, tuo malgrado, alle spalle mentre invece lui è già risalito sulla ribalta urlando la sua rabbia. Eccezionale l’apporto live di Trevor che, sulle basi, improvvisa suoni e distorsioni semplicemente grattando un jack su qualsiasi cosa possa produrre un rumore. Sul muro un mix di diversi filmati differenti (ma tutti associati da un unico scopo, disturbare): “Born to rise hell”, “Cruising”, “Il cechista”, “Death Scene II“ , “Tras el cristal” .
A cose fatte, mentre il locale comincia a svuotarsi, ci si ritrova tutti nel back stage, dove il sovraffollamento umano ci riscalda (fa ancora incredibilmente freddo e, il fatto di essere astemi, non aiuta per nulla. PS: parlo per me, of course!! JJ), si comincia a radunare le cose sparse in ogni dove, gli ultimi complimenti, le ultime foto, l’occhio già si piega ma, non sazi, i nostri, in un impeto di creatività che stanotte sembra davvero non aver mai fine, gettanole basi per ilseguito del FestivalBara, per la compilation della prima edizione, stringono alleanze per prossime, proficue, collaborazioni.
Usciamo dal locale. La nebbia si è sollevata per incanto, scende una pioggerellina sottile sottile. E noi, anime piene di rumore, ci dileguiamo, nel buio della notte alessandrina.
E' per questo che siamo così bravi. Perché facciamo rumore.
Più forte di chiunque altro, e meglio.
Qualunque stronzo ricciolidoro è capace di cantare una ballatona stracciamutande.
Invece bisogna spaccargli il cranio, al pubblico.
E' l'unico modo per costringerli ad ascoltare,
perché sono delle teste di cazzo.
(Don DeLillo, Great Jones Street, 1973)