SANGUE A TORINO

BLOOD AXIS

Mariae Nascenti With Fabrizio Modonese Palumbo

Torino 10 Aprile 2005

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Quanti anni sono passati? Tanti, troppi, ma tutti indispensabili. Per capire, comprendere e spiegare che il Blood Axis e la personalità di Michael J. Moynihan sono e saranno sempre parte di un modo di pensare, di agire e di comprendere la musica e, soprattutto, tutto ciò che ruota attorno a questo meraviglioso mondo. L’acclamato Gospel ha ormai nove anni sul groppone, ben tre ristampe sono succedute al debutto su Storm/Cthulhu, segno che il messaggio dell’Asse è attuale, vivo e reale in tutta la sua potente carica espressiva.

Nonostante l’accumularsi dei giorni si facesse sempre più ingombrante, le presenza del Blood Axis è sempre stata vivida. Nascosta, ma pulsante di intenso ricordo. Poche e selezionatissime novità discografiche ed un’intensa vena folk intrisa di forti sapori tradizionali riscontrabili nella collaborazione con In Gowan Ring e nella lirica mistica di “Wir Rufen Deine Wolfen”. Fino a quando i giorni si sono insanguinati per due date italiane, Firenze e Torino. Desiderate, attese e pronte da assaporare nella loro completa espressione di tellurica forza ed intensità.

La scelta cade su Torino per motivi pratici e logistici, nonché di cuore, scelta che si è rivelata azzeccata dato che gli avventori fiorentini presenti alla data piemontese hanno espresso commenti positivi soprattutto su quest’ultima. Il Café Procope offre un locale dall’ottima acustica, illuminazione discreta e raccolta e la possibilità di assistere comodamente seduti. Le prospettive per un ottimo concerto ci sono. E tutte.

L’ingresso di Ango sul palco dà il via alla performance audio/video di Mariae Nascenti. Il set sonoro del progetto meneghino è scarno, glaciale e minimale, da far inquietare la platea. E, come se non bastasse, il grado di inquietudine si fa più introspettivo con l’ausilio di un video concepito da Ango stesso, in cui si alternano spaventose e lente diapositive animate, introdotte dai misteriosi versi della poetessa americana Emily Dickinson. Ambiguità sessuale (comunque esplicita), barba-power e terrificanti spose maledette dallo sguardo ferito si stagliano con esasperazione davanti al pubblico attonito. Mariae Nascenti è immobile davanti al portatile, sono la musica e le immagini che scorrono alle sue spalle a dare corpo ad un live che a lungo andare distoglie l’attenzione, la rende più sfigurata e deforme. A dar man forte al live set di Ango, arriva Fabrizio Deathtripper (Larsen) con chitarra elettrica, frocissimo boa di struzzo nero ed una rosa rossa solitaria sul leggio. Il duo ci propone una desolata e tristissima cover del compianto De Andrè, un tributo che regala sfumature inaspettate ad un live estremamente interessante ma che rischiava di cadere in dimensioni eccessivamente statiche. Ne troppo lungo, nemmeno breve, lo show introduttivo conosce la parola fine, un concerto dignitoso che ha mostrato degnamente la capacità di Mariae Nascenti di tessere l’inquietudine ed il mistero delle tematiche esoteriche.

A questo punto l’attesa è del tutto affidata all’arrivo del Blood Axis. Attimi intensi, desiderati per tanti bellissimi anni ma stasera a Torino è un sogno diventato realtà. L’ingresso sul palco di Michael J. Moynihan non nasconde l’apertura folk delle ultime produzioni, l’eroe di una sera (e di una vita) si presenta in una tenuta rurale abbandonando il rigido e severo look di qualche anno fa, barba e capelli lunghi lo rendono ancor più vicino ai popoli del Nord Europa. Con una carinissima Annabell Lee e la presenza maestosa di Robert Ferbrache alias Big Bad Bob si ripete il sacrificio svedese. Chiude la formazione le new entry contrassegnate dal biondissimo Scott Broderick alle percussioni e J. Arthur Loose al posto che era di Aaron Garland durante l’Indo-European Tour (per la cronaca, Arthur è un fabbro che crea con maestria spade e gioielli ispirati alle tematiche nordiche, per info: www.jloose.com). Il cuore è a mille, l’intro che attendevo con forza e trepidazione da anni è finalmente giunta. La fisarmonica intona “Herjafather”.

Il mantra odinico assume un sapore più tradizionale, meno cattivo ma non per questo perde la sua potenza che l’hanno resa unica ed inimitabile nel suo crescendo puro e selvaggio. Notare che l’esecuzione di tutti i brani sono pane prodotto da una strumentazione classica senza campionamenti a far da sottofondo. Purezza è la parola d’ordine. La formazione tipicamente rock trova libero sfogo con l’elettrica “Eternal Soul”, Michael non perde colpi e ci mette una passione innata ed inclassificabile. Una delle più intense e drammatiche song del Blood Axis è “Life” apparsa sulla compilation “Souvenirs from Hell” della scomparsa Cthulhu (ma perché non esiste più??), struggente nel suo violino e nelle fosche percussioni, un ottimo pezzo scritto da Annabel che rivive di antica luce catartica. E’ il momento del richiamo dei lupi con “Wir Rufen Deine Wölfe”, le emozioni vanno a tempo con il frenetico tamburellare del Bodhran che Michael ha imbracciato per l’occasione, l’ultima composizione dell’Asse che dovrebbe dare ampi indizi sulle prossime uscite insanguinate. Con “The Ride” si scoprono le prime songs inedite, una ballata tradizionale dal forte odore antico ed arcaico, una cover di una ballata di Frankie Armstrong ma con la celebre e potente “The Hangman and the Papist” si entra nel campo di Nitha attraverso un basso roboante e deciso che imita il cuore di un uomo forte, una ballata di intenso folk nordico che sprizza sangue da tutti i pori. I sapori tradizionali del folk rivivono nella semplicità ancestrale della marcia di Brian Boru, una frenetica danza irlandese dove Michael ed Annabel sembrano posseduti da un misterioso demone della foresta. Anche Michael and Co si dilettano con il traditional “TWA Corbes” già reso celebre dalla minimale rivisitazione dei primi Sol Invictus, un altro progetto caro ai cultori apocalittici è senz’altro Fire + Ice che rivivono nell’intramontabile e suggestiva “Seeker”, una ninna nanna ardente che, purtroppo, non raggiunge le liriche toccanti e teatrali della versione contenuta nel capolavoro “Blot”. Con “Mandragora” l’Asse diventa Arlaune e le redini del gioco sono tutte affidate al violino ed alla voce di Annabel, comunque accompagnata con professionalità dal resto della band. Un brano dalle sfumature magiche, dotate di un attaccamento alla natura atavico ed incantevole, tutte atmosfere che vengono riproposte al Cafè Procope davanti ad un pubblico finalmente silenzioso ed attento. “The Song of the Comrade” è un traditional frenetico adattato ad un testo che si credeva frutto di Miguel Serrano ma che fu scritto originalmente da un soldato tedesco, un pezzo che i più fortunati hanno avuto l’occasione di ascoltarla già qualche anno fa in Portogallo, in questa occasione è Annabel ad imbracciare la piccola fisarmonica del suo compagno d’armi e di vita. Il culto di Mithra rivive nella tellurica “Lord of Ages”, possentemente portata avanti dal drumming deciso di Scott e dal testo ispirato di Michael, potente e dotata di un feeling quasi selvaggio ma cosciente della sua forza divina e portentosa. Non finirò mai di adorare ed ascoltare questo tributo alla divinità mithraica, culto dell’Antica Roma che con il saluto romano esibito da Michael ben si adatta al contesto storico, senza scomodare alcun significato politico buono per riempire i salotti telematici. Potenza e passione. E pensare che è stata la prima song concepita dal Blood Axis, tanto per cominciare bene… La tempesta introduttiva manca in “Reign I Forever” ma non per questo la versione torinese pecchi di potenza ed intensità, anzi Annabell, Robert e tutti gli altri sono impavidi guerrieri comandati dal cantato dominante ed efficace di Moynihan, il violino è lancinante e straccia gli avversari in un batter d’occhio. Spiazzante e definitiva. Allo scoccare della fine i cinque eroi scendono tra i calorosi applausi dal palco ma non abbiamo paura, siamo consapevoli che un bis sarà concesso senza esitazioni perché come ha confermato lo stesso Michael, il pubblico italiano è il migliore d’Europa! Michael ed Annabel si ripresentano come coppia per proporci tre suggestive ballate tradizionali, un mini concerto ricco di sapori irlandesi, bodhran e violino, danze frenetiche e cariche di vigore. Assistono stanchi ma soddisfatti il resto della band ai lati del palco ma arriva anche il loro turno per proporci un ultimo e finale omaggio. “Walked in Line” è piena, carica ma, sinceramente, avrei preferito una song del repertorio Blood Axis ma in ogni caso la visione di un esaltato Ferbrache che brandisce con fare rock’n’roll la sua chitarra vale la proposta della cover!

Ed è finita davvero. Con rammarico, tristezza ma la soddisfazione, la consapevolezza di avere davanti una grande realtà sono al di sopra di tutto. Con questo concerto possiamo affermare di essere più maturi e forti per proseguire la nostra strada. Concludo con un sms ricevuto l’indomani sulla strada del ritorno da un carissimo amico: “Torino Anno Zero - Il Mondo della Musica non ha più Significato”. Proprio vero.